I papaveri sono una pianta affascinante con una lunga storia di usi medicinali e abuso di sostanze. Gli oppioidi ricavati dalla lavorazione della pianta, come la morfina e la codeina, sono usati per alleviare il dolore da secoli, anche se spesso possono essere causa di forti dipendenza e morte.
Dopo questa premessa felice, vediamo come fa una pianta così simpatica ad avere effetti così diametralmente opposti.
Nel corso della storia ai papaveri sono state attribuite importanti proprietà medicinali e i loro effetti sono da sempre più o meno conosciuti. Pensate, già gli antichi greci conoscevano perfettamente le sue caratteristiche e rappresentavano simbolicamente Ipnos, Nyx e Thanatos, gli dei del sonno, della notte e della morte, proprio con questa pianta.
Nell’opera di Franz Rosenthal, "L'erba, l'hashish e la società musulmana medievale" , viene riportato come anche l'antico mondo islamico aveva scoperto come usare la pianta, proprio perché aveva tradotto molti dei trattati di medicina dell’antica greca. In particolare testi di Dioscoride Pedanio, che fu il primo a offrire un resoconto dettagliato dell'uso terapeutico dell'oppio. I suoi scritti gettarono le basi della farmacologia islamica e poi citate e usate per diversi secoli.
Si vabbè, ma insomma che ci si fa con sto papavero? L’oppio, per dirne una. Per capirlo meglio dobbiamo scomodare la chimica. L’essere umano ha imparato a coltivare diverse specie di papavero, come ad esempio il papavero da oppio (Papaver somniferum).
Il papavero contiene diversi alcaloidi narcotici e psicoattivi, come la morfina, la codeina e altri come la papaverina. Questa ad esempio non ha un effetto psicoattivo, ma è un ottimo vasodilatatore e veniva usata per trattare la disfunzione erettile. Se la sparavano nel vasi sanguigni dell’uccello e dopo 5-10 minuti… erezione vigorosa. Che grande pianta l’oppio, se non ti sballa te lo fa venire duro.
La rhoeadina invece è un altro alcaloide che viene utilizzato come leggero sedativo. Lo si estrae dai fiori del papavero comune (Papaver rhoeas), quello che cresce anche lungo i bordi stradali per intenderci.
Ma questa è tutta roba estratta dalle piante. Che succede se i papaveri te li mangi proprio? Se ingeriti in quantità sconsigliate i composti contenuti in queste piante possono causare intossicazioni più o meno gravi. Quanto gravi? Non è chiaro. Andando a cercare in letteratura medica c’è un sacco di materiale su un animale che l’ha provata in abbondanza: l’essere umano.
Le intossicazioni variano a seconda del fatto che si ingerisca la pianta o uno dei suoi prodotti lavorati, tipo l’oppio. E grazie tante direte voi.
Iniziamo dall’oppio. Ci sono diversi modi per prepararlo, ma in generale tutti prevedono il raccoglimento del liquido lattiginoso prodotto dalle capsule immature del papavero che poi può essere lasciato seccare per essere impastato. Vabbé ma mica siamo veramente nel 1800 che la gente si fa di oppio, mo ci stanno droghe un pochino più alla moda dai. E invece no, con l’oppio la gente ci muore ancora. Certe mode non passano mai, come il calzino con le ciabatte.
capsula immatura del papavero credits KGM007 via Wikimedia Commons
Ad esempio uno studio del 2018 afferma che in Iran la dipendenza da oppio è una delle più comuni forme di abuso di sostanze, una realtà descritta in letteratura già dagli anni 70, dove sono stati documentati circa 200 casi di intossicazione da ingestione di oppio grezzo.
E se invece la pianta la si ingerisce direttamente senza sottrarre nulla per fartici, che so, un’insalatina? Ecco gli effetti di questo tipo di intossicazione sono più rari, ma ci sono. C'è un articolo del 2015 che ha riportato cosa accadde a 5 persone dopo aver ingerito il papavero comune. In casi di intossicazione leggera i pazienti vomitavano tutto nel giro di poco tempo, mentre in quelli più gravi si assisteva a nausea, agitazione, difficoltà respiratoria e gravi crisi epilettiche, il tutto dopo circa 3 ore dall’assunzione.
Insomma, se volevate provare ad assaggiare il papavero, lasciate stare. Vomitate pure il cenone di Natale e come minimo vi cagate addosso, non è una bella cosa. Se poi invece era proprio quello che volevate, dateci dentro. Comunque sono solo 5 casi quelli riportati in letteratura, ripeto, sono estremamente rari, tecnicamente non basterebbero nemmeno per trarre conclusioni ma io ve li metto qui giusto per dovere di cronaca.
Mò, non c’è bisogno chiaramente di demonizzare la pianta che ha un uso estensivo anche nella medicina moderna. La morfina per dire è brutta e cattiva, ma se mi devono operare e aprire come una scatoletta non mi fa poi così tanto schifo. Gli oppioidi sono stati da sempre utilizzati per alleviare il dolore, ma la parte della dipendenza è comunque piuttosto seria.
La questione qui è complicata, ma cerco di semplificarla all’osso. In sostanza Esistono 4 diversi recettori per oppioidi nel nostro corpo, che vengono chiamati rispettivamente mu (endorfina), kappa (dinorfina), delta (encefalina) e NOP (nociceptina e orfanina).
In soldoni, gli oppioidi in base ai recettori che legano possono avere effetto antidolorifico, narcolettico, psicoattivo o creare dipendenza e studiare questo è molto importante se vuoi sintetizzare una molecola che ti faccia passare il dolore, ma non ti faccia schiumare per averne ancora e ancora.
Il problema degli oppioidi è questo: la dipendenza. Perché, ok un sacco di questi funzionano da paura contro il dolore, ma la dipendenza che provocano è terribile. C’è anche uno scandalo molto famoso legato ad una casa farmaceutica americana che ha causato dei danni terribili a migliaia di persone. Venne definita l’epidemia degli oppioidi, ma anche il crimine del secolo.
Si trattò di un abuso massiccio di ossicodone, commercializzato dalla fine degli anni 90 negli States come oxycontin, un oppioide che venne prescritto massimamente nonostante provocasse dipendenza. Loro dicevano di no e fecero una scandalosa campagna in cui convinsero i medici addirittura a prescriverla in caso di dolori lievi. Grazie ai controlli stringenti europei qui da noi non ci arrivò mai.
Detto questo oh, il papavero è utilizzato persino in cucina da decenni e si mangiano i semi, le foglie e persino i petali con cui si fanno infusi e bevande. Insomma, come sempre la quantità è tutto quando si parla di sostanze bioattive.