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Sesso

La grandezza dei testicoli è un indicatore della promiscuità

Le palle raccontano molte storie, anche se la sinistra dopo la torsione non è più la stessa. Fra le cose che raccontano ce n’è una in particolare che mi piace un sacco e che risponde alla domanda: come si riconosce un primate monogamo da uno che non lo è?

La risposta che avrei dato io è guardare alla quantità di malattie veneree che trasporta, ma non è corretto. Allora gli guardi la fede al dito? Gli rubi il portafoglio e vedi se ha il santino di San Silvio, protettore delle concubine?

No. Un modo per capire se un primate è monogamo è guardandogli i testicoli: se li ha piccoli allora vuol dire che nel corso dei millenni non ha dovuto faticare molto per cercare una compagna. Tutte si prostrano ai tuoi piedi semplicemente perché sei il capo e allora non c’è appagamento femminile che tenga: meno dura e meglio è e se è anche sgradevole per lei pazienza, tanto il tuo lavoro l’hai fatto. Se li ha belli grossi, invece, significa che è una specie in cui maschi e femmine si accoppiano un po’ con chi gli pare. Perché? Ora lo vediamo.

Premettiamo subito che questo non vuole essere un manifesto dell’infedeltà coniugale, visto che è già il manifesto del disagio generazionale di chi lavora su internet e deve spiegarlo ai genitori. Comunque a questo ci arriviamo tra un po’, prima bisogna capire com’è la situazione “accoppiamento nei primati”.

In diversi articoli su questo magazine abbiamo già trattato cosa significa poligamia e monogamia nei primati, ovvero in poche parole sistemi di accoppiamento per cui un individuo si accoppia con più partner o con uno solo.

Di studi sulla sessualità dei primati ce ne sono parecchi, persino per l’uomo, e come dicevo prima alcuni hanno collegato caratteristiche fisiche evidenti come la grandezza dei testicoli, dei canini o del pene alla socialità. Posate i righelli però, non è ancora il momento di fare misure avventate. Tanto te lo sei misurato ieri, è inutile che te lo misuri tutti giorni, è sempre lo stesso.

Partiamo col dire che nel libro Primate Sexuality Alan Dixson definisce un sistema di accoppiamento nel mondo animale come quali maschi e femmine si accoppiano in quali circostanze. I sistemi riconosciuti includono la monogamia, la poligamia, che comprende la poliginia, la poliandria e la poliginandria. Tutti questi sistemi prevedono una scelta del partner differente e influenzano il funzionamento della selezione sessuale in un determinato modo.

Un'altra cosa importante che spiega Dixson sui sistemi di accoppiamento è che ha una componente sia sociale che genetica. La prima sottintende tutte le interazioni sociali coinvolte, le carezze, i baci e far finta di sfogliare Gli atti unici di Cechov per fare colpo sulle studentesse del DAMS. Ciò che biochimicamente influenza queste interazioni, invece, sono la parte della componente genetica. Mi spiego meglio.

Fra gli zoologi che negli ultimi decenni si sono fatti un ENORME CV in fatto di sessualità nel mondo animale e che lo poggia sul tavolo prepotentemente c’è Tim Clutton-Brock che alla fine degli anni ‘80 ha dato una definizione dei principali sistemi di accoppiamento nei mammiferi, molti dei quali si trovano nei primati. Negli ultimi anni la componente genetica ha acquistato sempre più valore, tanto che alcune delle definizioni date dal signor Clutton-Brock sono cambiate radicalmente.

Prendiamo ad esempio la monogamia. Inizialmente si riteneva fosse semplicemente un sistema in cui maschi e femmine si accoppiano tipicamente con un solo membro del sesso opposto, ma oggi sappiamo che non è così semplice. Negli anni ‘90 molte specie che si riteneva essere monogame si sono rivelate fedifraghe con scappatelle che spesso portavano ad avere figli un po’ ovunque. Ecco dunque che gli scienziati hanno diviso una monogamia sociale e una genetica.

Tutte queste definizioni sono state date nel corso di decenni di osservazioni. Ricercatrici e ricercatori guardoni che si mettono ad osservare queste ammucchiate vogliose annotando nei loro appunti ogni dettaglio, filmando e facendo fotografie a profusione. Praticamente la mia adolescenza su internet.

Qualche pazzo scriteriato, però, ha ben pensato di approfondire la faccenda facendo quello che Aristotele chiamerebbe sillogismo e che io chiamo invece “non farsi i cazzi propri”. Letteralmente. In particolare, hanno correlato alcuni caratteri fisici con i sistemi di accoppiamento notando cose piuttosto interessanti: bonobo e scimpanzé hanno testicoli più grossi dei gorilla. Delle pallone. Ma proprio grosse. Invece il gorillino piccino. Tutto grosso e pompato e c’ha delle noccioline mignon.

In sostanza, se nella specie le femmine si accoppiano con chi gli pare i maschi hanno in media testicoli più grandi in rapporto alla massa corporea. Le specie che invece si accoppiano con uno o pochi partner hanno testicoli più piccoli. Allo stesso modo, le specie che monopolizzano il numero di femmine con cui si possono accoppiare, come i gorilla che hanno un sistema poliginico con un solo maschio dominante per più femmine, avranno sia testicoli più piccoli ma anche le dimensioni del pene minori, non a caso il biologo Vincenzo Venuto ha approfondito proprio questo tema scrivendo un libro chiamato “Il Gorilla ce l’ha piccolo”. Perché ce l’ha proprio piccolo. Circa 6 cm quando è eretto.

Gli esseri umani, invece, hanno la circonferenza del pene più grande rispetto agli altri primati, ma mi dispiace dirvelo in quanto a lunghezza non siamo i primi. La lunghezza del pene eretto dello scimpanzé e del bonobo è comparabile a quella nostra, ovvero in media circa 14-17 cm, ma a differenza degli umani, i peni degli scimpanzé e dei bonobo sono affusolati con una punta stretta e privi di glande visibile. Praticamente uno scovolino.

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Barbascura X

Direttore editoriale